Il "segno" di Serge Uberti
alla Biennale d'Arte Contemporanea di
Viterbo
DA ORVIETO NEWS
TESTO DI PAOLO
PANCALDI
GALLERISTA
SERGE UBERTI - L'ATELIER e
L'ARCANO
Uomo d'oltralpe stabilitosi a Roma a termine di un cammino quasi da pellegrino che si concluderà nel suo eremo sito in un cortile di via della Lungara a due passi dal carcere di Regina Coeli. L'Atelier come recita la scritta bianca che campeggia sulla sua porta verde. Autodidatta proveniente da un'esperienza lavorativa a contatto con giovani ed artisti che lo ha portato ad essere confidente con l'ambiente degli studi di pittori e scultori, decide di allontanarsi per misurarsi con se stesso, le sue idee, il suo potenziale artistico senza retaggi ed influenze. Questo suo pellegrinare sarà modus operandi anche nel suo fare arte.
Uomo d'oltralpe stabilitosi a Roma a termine di un cammino quasi da pellegrino che si concluderà nel suo eremo sito in un cortile di via della Lungara a due passi dal carcere di Regina Coeli. L'Atelier come recita la scritta bianca che campeggia sulla sua porta verde. Autodidatta proveniente da un'esperienza lavorativa a contatto con giovani ed artisti che lo ha portato ad essere confidente con l'ambiente degli studi di pittori e scultori, decide di allontanarsi per misurarsi con se stesso, le sue idee, il suo potenziale artistico senza retaggi ed influenze. Questo suo pellegrinare sarà modus operandi anche nel suo fare arte.
Esso è espressione di vita vissuta che si snoda
come un racconto dipinto in un libro dove non è dato a sapere numero di pagine
e finale. Diceva lui stesso in alcune interviste, commentando il percorso della
sua vita artistica “...a rivedere il mio lavoro dagli inizi sembra che le cose
siano scorrelate, invece sono tutte legate da un filo conduttore che ci porta
sino ad oggi ... sono come tanti fogli sciolti di una storia che si intreccia e
si compone in un libro ... il lavoro misurato in un tempo breve diventa
sequenza pertinente del racconto passato e di quello in divenire... ho la
visione delle cose che sono sospese come in una moderna tavola multimediale, mi
circondano per poi rivederle tutte compattate una su l'altra.”
In genere gli artisti indirizzano le loro ricerche
verso nuove tecniche, rivisitano e dipingono cose note, per proporre meramente
il loro modo di dipingere oppure operano nella contaminazione tra le arti come
nei materiali, altri si cimentano in racconti tra surreale e fumettistico -
favolistico, altri ancora sono impegnati nel sociale e nella occulta denuncia
delle implicazioni del contemporaneo. Uberti diversamente ha sempre dichiarato
che la via del pittore è il susseguirsi del lavoro e delle modificazioni che in
esso nascono spontanee giorno dopo giorno, opera dopo opera e sarà il caso ad
incidere su tale percorso.
Il lungo cammino lo definiva, come uno dei suoi
cicli di opere considerate centrali nella sua poetica. La narrazione di Uberti
è compiuta in stile Kafkiano, fedele ad esso ad alle sue metamorfosi. Chiuso
nel suo eremo ha sempre evitato lo studio ed il confronto con altri artisti per
emarginare la possibilità di una qualsivoglia possibile interazione con il
proprio cammino e mantenerlo puro nella sua evoluzione. Le primordiali forme
dei "cabatei" verranno rapidamente compenetrate da una forma
rettilinea quasi geometrica di una sorta di "sedia" a tre gambe che
lentamente diventeranno un "centauro". Sedie e centauri daranno vita
ad una serie infinita di sculture che lo accompagneranno fino a tempi
recentissimi.
Parallelamente l'evoluzione del racconto del
centauro lo incarnerà via via in un "costruttore" piuttosto che in un
"guardiano". Personaggi che ruoteranno attorno ad un'altra figura
fondamentale per Serge, la "barca" di Kafkiana memoria. La barca
appunto, oggetto principe nelle sue storie, nelle sue sculture e soprattutto
nelle sue installazioni, e che darà il tempo, anzi il non tempo di Serge
Uberti. Vero Caronte traghettatore, da e per una riva ignota e non visibile, in
un oceano infinito senza coordinate, il navigare è un atto di fede! La sua
epoca è spesa sì tra noi nel nostro tempo ma essa è di fatto, senza un
riferimento cronologico rispetto al tempo dell'arte unico esempio che si possa
ricordare di lavoro unico e proprio, diverso e riconoscibile senza nessuna
possibilità di accostamenti e di rilettura, unico sia nella tecnica che nelle
cromie oltre che nella materia, nascita e morte di un giorno, di un mese, con
l'anno superfluo!
Opere che toccano nella trasversalità ma che non si
contaminano sempre a cavallo di un altro dei confini dell'arte, il punto di
incrocio piuttosto che di confine delle dimensioni. E' stato un pittore ed uno
scultore, quanto uno scultore non pittore ed un pittore non scultore. La
banalità delle parole nascondono e non dichiarano quanto i suoi lavori su tela
e tavola sono tangibilmente sofferenti di una terza dimensione come le sue
sculture siano immancabilmente carenti proiettandosi verso una bidimensionalità
prospettica. Pittoscultore forse è la definizione più canonicamente vicina ad
Uberti ma senza rendergli sufficientemente merito e giustizia. Giacometti
insegna definendosi un falso pittore come un falso scultore. Questo stato
certamente è ed è stato monito ed esempio per Serge, alle prese con lo stesso
dilemma, riuscendo a colmare il divario esorcizandolo, contaminando le
dimensioni.
L'uomo è solo dinnanzi a se stesso ed il rapporto
con la mente, la spiritualità e la materia genera un perenne conflitto senza
vincitori e vinti. Per Uberti le vie non sono alternative ma devono essere
comunque tutte ben presenti e forse, nessuna prevale sull'altra!
Rileggendo il suo cammino a seguire il 1991, forse è possibile trovare una chiave di lettura che possa aprire un varco su quanto anzidetto, una sorta di lampadina che potrebbe illuminare la strada verso una nuova e diversa interpretazione di un pensiero recondito e mai apertamente dichiarato. Uberti si sentiva intimamente legato al tempo degli Etruschi, questo derivava dalla scoperta di una ex tomba in un territorio limitrofo al Viterbese divenuta nel tempo magazzino rurale e ricovero notturno di greggi. Bene, in questa tomba a forma quasi quadrata trovò dei segni che ricordavano quelli delle sue primissime opere.
Rileggendo il suo cammino a seguire il 1991, forse è possibile trovare una chiave di lettura che possa aprire un varco su quanto anzidetto, una sorta di lampadina che potrebbe illuminare la strada verso una nuova e diversa interpretazione di un pensiero recondito e mai apertamente dichiarato. Uberti si sentiva intimamente legato al tempo degli Etruschi, questo derivava dalla scoperta di una ex tomba in un territorio limitrofo al Viterbese divenuta nel tempo magazzino rurale e ricovero notturno di greggi. Bene, in questa tomba a forma quasi quadrata trovò dei segni che ricordavano quelli delle sue primissime opere.
Il rapporto con questo ritrovamento lo portò a
creare su quel terreno una dimora studio vissuta intensamente. Il perimetro di
quella grotta è riportato ossessivamente nella quasi totalità della sua opera
quasi piede di appoggio del suo creato, tutto fuoriesce ma fermamente tutto è
li posato, tutto è proiettato senza un punto cardinale ma il fulcro resta
all'interno del perimetro, mai le proiezioni baricentriche delle opere
fuoriescono da quella pianta. Lui è lì e, forse, se la ride di questa
osservazione sbeffeggiandoci sapendo che la chiave di lettura sarà per sempre
in altrove assieme a lui. L'arcano resta e così deve essere, il mistero
dell'arte è anche questo. Tutto è molto più complesso di quanto non si possa
semplicemente liquidare!